
È il primo giorno dell’anno 2024, vorrei dire che chi ben comincia è a metà dell’opera e se l’opera è quella di mantenere un ritmo di un film visto e recensito al giorno, direi che l’operazione è fallimentare già in partenza perchè non potrei mai mantenere questi ritmi da vero cinefilo (c’ho da fare altre cose). Ad ogni modo oggi ho visto un film che si intitola Speak No Evil, un thriller danese disponibile in streaming per gli abbonati ad Amazon Prime Video. Incuriosita dal commento di un collega che stimo mi sono imbattuta nella visione di questa storia che come descrive l’autore prova ad unire i generi thriller, horror e drammatico.
Speak no evil: la trama a grandi linee
Durante una vacanza in Toscana due famiglie, una danese e una olandese, si conoscono trascorrendo piacevoli momenti in compagnia. I due nuclei familiari decidono di scambiarsi i recapiti per rimanere in contatto e presto arriva un invito: gli olandesi invitano i danesi nella loro abitazione per trascorrere un week end insieme. I danesi Bjørn e Louise hanno un leggero timore di andare così lontano per stare in compagnia di due sconosciuti infondo, eppure non vorrebbero mai passare per maleducati. Con un po’ di paura e un po’ di adrenalina (Bjørn che ha stampato un sorriso finto in faccia, sintomo di depressione ha bisogno di evadere dal quotidiano), la famiglia parte, perché non aver fiducia nel genere umano? Una volta arrivati in Olanda a casa dei loro “amici” iniziano a capire che la coppia simpatica e serena conosciuta in Toscana non è quella che si immaginavano.
Le situazioni equivoche e sgradevoli si susseguono e presto gli ospiti capiranno che dietro quell’invito c’è una cattiva intenzione.
Convenzioni sociali che imprigionano
Il film, girato in epoca COVID (lo specifico perché alcune tematiche toccate in questo film per molti sono divenute più sensibili durante questo periodo di forzature e regole), gioca sul tema dell’essere sé stessi scendendo a patti o rifiutando le convenzioni sociali, quelle regole non scritte ma incastonate nella nostra educazione. Sarà capitato a chiunque di dover ingoiare il rospo e sorridere a forza per evitare di mettersi in posizioni sconvenienti, di non riuscire a rifiutare un piatto anche se non gradito perché ospiti, andare a cena con amici di amici con cui non si ha niente in comune, ascoltare senza ribattere discorsi in cui ci si sente in qualche modo offesi. Si fa per il quieto vivere o forse perché non si ha il coraggio di affermare sé stessi, di rivelare davvero i propri sentimenti quando si potrebbe entrare in conflitto con gli altri.

Da un lato una coppia, quella danese, inserita in quello che chiameremmo tessuto sociale sano o meglio quello che per il modello socioeconomico in cui viviamo in occidente è reputata come tale: un bell’appartamento, un buon lavoro, una bella famiglia. Dall’altra una coppia, quella olandese, che rifiuta l’obbligo lavorativo, l’obbligo di sottostare a regole di bon ton come chiedere scusa e girare i tacchi quando si accede ad una toilette già in uso o di trattare bene il proprio figlio quando non rispetta i propri standard.
Lavoro che dà sicurezza economica, famiglia, figli, una buona reputazione: sono davvero le cose che fanno felici le persone? Chiaramente il male è proprio in quelle norme sociali tacitamente accettate che a volte possono essere un’arma a doppio taglio, soprattutto per la sanità mentale.
E alla fine mi è piaciuto? Lo consiglio?
Speak no evil è un film disturbante, personalmente – sarà che i 40 incombono e quindi una certa saggezza nel sapere che il mondo è realmente infestato dal male – ho avuto difficoltà a reggere la scorrettezza della famiglia diabolica. Nonostante a volte i personaggi non si comportino nel modo più logico possibile (un problema o stilema che ritroviamo spesso nei film di genere thriller\horror), tutto è coerente, le interpretazioni sono buone e la tensione è tangibile, soprattutto quando di mezzo c’è la piccola Agnes, figlia di Bjørn e Louise. Speak No Evil è un film che dal punto di vista narrativo funziona, non ha pecche di ritmo e di buchi narrativi. Funziona anche l’epilogo finale, secco e asciutto, che lascia davvero un senso di disagio addosso. Un buon thriller horror che non vi terrà facilmente fermi sulla vostra seduta.
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