Era da tempo che un film di Paolo Sorrentino non mi emozionava così tanto. È stata la mano di Dio lo attendevo moltissimo, perché Sorrentino è tornato a girare a Napoli dopo il suo bellissimo film d’esordio L’uomo in più del 2001. I due film sopracitati sono i più personali di Sorrentino e chissà se è un caso che entrambi siano stati presentati al Festival del cinema di Venezia. Le emozioni che arrivano da questo nuovo lungometraggio sono tante: si parla di famiglia, ambizioni, tumulti giovanili, passioni viscerali, pulsioni sessuali adolescenziali e si parla di Napoli con le sue credenze e abitudini. Si avverte l’omaggio alle proprie radici e all’essere partenopei, temi che ad una fuori sede come me ha fatto decisamente effetto.
Il film arriverà in sale selezionate dal 24 novembre, mentre uscirà su Netflix dal 15 di dicembre.
È stata la mano di Dio: trama

Questo è il film più autobiografico di Paolo Sorrentino. La storia di Fabietto Schisa, giovane napoletano che deve decidere cosa fare del suo futuro, è ispirata a molti dei ricordi del regista, uno su tutti la tragica scomparsa dei suoi amati genitori. La storia si muove in una Napoli degli anni ’80 in agitazione – sempre bellissima e calorosa – mentre si mormora che Diego Armando Maradona stia per essere comprato da Ferlaino, allora presidente del Napoli Calcio. Il film è un racconto di formazione visionario in cui giocano un ruolo chiave destino e famiglia, sport e cinema, amore e perdita.
Impossibile fermare le lacrime durante la visione
È stata la mano di Dio rappresenta un punto importante nella cinematografia di Paolo Sorrentino. Pare essere il perfetto punto di chiusura di un cerchio tra la prima parte della sua cinematografia (fino a Il divo) e quella delle produzioni statunitensi e romane, con il ritorno ad un cinema più autentico ed emotivo. In È stata la mano di Dio, Sorrentino riesce a mantenere in equilibrio il suo indistinguibile stile di racconto, allegorico e visionario, con personaggi grotteschi ed eccessivi, con la capacità di evocare con estrema semplicità emozioni universali.
È stata la mano di Dio è un tutto in un mare di emozioni

Il film è un tuffo in una memoria viva e in un tessuto culturale che non cambia, per fortuna, che mischia sacro e profano, inscenando miti come quello del monaciello e del culto di San Gennaro, della mozzarella e della malatia per il pallone, la presenza imperante del Vesuvio, un punto di riferimento che rincuora quando ci si sente smarriti. L’eccentricità e la scomodità della schiettezza partenopea, le tradizioni e l’invadenza della famiglia allargatissima, la fede calcistica che qui non ha solo valenza di appartenenza, ma si avvicina a qualcosa di molto più divino, l’amore per il cinema come strumento che fa fuggire dalla realtà.
Piangere fa bene e Sorrentino lo sa
Questo film aprirà uno squarcio di ricordi nel cuore, permettendo di rivivere momenti di vita quotidiana familiare che hanno fatto parte della propria formazione, quando ancora non si è scelta quale strada imboccare e si vive tutto senza guardare al futuro, al riparo tra le pareti di casa. È stata la mano di Dio è un film che va visto e vissuto, che agiterà il mare emozionale degli spettatori. Paolo Sorrentino permette di oltrepassare il suo sguardo per far entrare nel suo cuore e nella sua testa, con scene memorabili ispirate a ricordi personali e aneddoti raccontati da altri. Fabietto non riesce a piangere, mentre Sorrentino ci fa un dono: nella sala buglia rannicchiati nel proprio sedile, ci si sente liberi di tirare fuori lacrime su lacrime, sinonimo di emozioni che spesso facciamo finta di non sentire.
È stata la mano di Dio è semplicemente un film da vedere.
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