Sono andata a vedere Crudelia, il nuovo live action Disney con un’enorme puzza sotto il naso. Si tratta di un prequel, dedicato alle origini del villain Crudelia De Mon, personaggio iconico del classico d’animazione La carica dei 101. Non sono per niente in linea con gli ultimi prodotti Disney che si promettono di essere all’insegna dell’inclusività, cosa buona e giusta se non fatta a sproposito. Adoro le l’animazione d’un temps Disney, ma i live action visti mi hanno deluso: dopo il noioso Maleficent e lo scempio del live action di Lilly e il vagabondo, avevo paura di annoiarmi per 138 minuti al cinema. L’accoppiata Emma Stone e Emma Thompson però è stata la spinta che mi ha portato in sala a vedere il film che, in fin dei conti, è riuscito ad intrattenermi.
Questa volta Disney non esagera con gli stereotipi al contrario

La rivisitazione del personaggio di Crudelia De Mon diretta da Craig Gillespie racconta di Estella De Vil, una bambina dai capelli metà bianchi e metà neri, vista come stramba perché sovverte le regole della scuola che frequenta. Presto Estella diventa una ragazza che negli Anni ’70 sogna di diventare una stilista famosa della scena londinese. Scappata ai margini della società dopo la morte improvvisa della madre, si arrabatta per far quadrare i conti. Sfrutta la sua arte nel trasformismo, cucendo abiti e personaggi, per mettere in scena truffe per sopravvivere, in attesa della grande occasione. A darle un’occasione è la Baronessa Van Hellman colpita dalla sua creatività. La Baronessa però non è una donna facile e la rivalità tra le due stiliste non avrà un lieto fine. Estella rispolvererà la sua natura crudele, il suo alias Cruella, per mettere in scena una tremenda vendetta.
Crudelia: abbiamo bisogno di giustificare i cattivi delle fiabe?

“Alla gente servono i cattivi in cui credere e io mi adatto allo scopo con piacere” dice Estella\Cruella, la protagonista di Crudelia. I cattivi, nella loro accezione bidimensionale, servono al pubblico per essere battuti, per ripristinare il bene su ogni cosa. Ma la protagonista di questo live action non è una vera cattiva: la sua è una maschera, sotto la quale si nascondono turbamenti dovuti ad un’infanzia da bambina giudicata per i suoi capelli, dal vestiario controcorrente, dal peso di considerarsi come la causa della morte di sua madre e dall’ambizione di diventare una stilista senza però sentirsi all’altezza.
Crudelia è infatti una bambina prima e una ragazza poi che rompe gli schemi, anticonformista e che non sta assolutamente alle regole. Il suo essere “cattiva”, espresso in un doppio Estella|Cruella, è frutto del rifiuto della società, per questo la sua natura malavagia viene giustificata, a costo di mistificare la storia de La carica dei 101.
Era necessario psicoanalizzare una cattiva per eccellenza? Abbiamo davvero bisogno di cercare le motivazioni per cui un personaggio diventa malvagio all’interno dell’universo Disney? I cattivi hanno fascino, soprattutto quando il loro statuto è quello di antieroe, lo stesso fascino che investe gli appassionati di cronaca nera, l’informarsi su fatti tremendi per filtrare la realtà e allontanarsi dalle storiacce di questo mondo. Ecco nel caso dei cattivi Disney, archetipi di un agire malvagio, inseriti all’interno di una lotta bene\male di semplicissima dicotomia, non credo proprio ci fosse il bisogno di scavare nel loro passato per accettarli nel loro essere freak ed emarginati. In fondo se la protagonista non fosse stata la stessa vecchia dal volto grigio, in cerca di dalmata da scuoiare, vista in La carica dei 101 il film avrebbe avuto una marcia in più.
Cool è la parola adatta: i costumi di Crudelia sono da urlo

Il film, essendo ambientato nel mondo della moda, non può non ricordare Il diavolo veste Prada con Emma Stone nei panni di una assistente servile di un stilista despota, interpretata da Emma Thompson. Se Emma Stone costruisce il personaggio di Crudelia puntando su goffaggine e smorfie prima, sguardo folle e animo tragico dopo, il vero gigante del film è Emma Thompson nelle vesti di una donna 100% algida e sfrontata. La cattiveria esce per sottrazione, stretta in abiti di seta e battute velenose. Nonostante l’interpretazione della Stone non spicchi, bisogna dire che negli abiti di Jenny Beavan è divina.
Emma Thompson lascia il segno nei panni della Baronessa

L’altro grande pregio del film riguarda il comparto costumi, curato da Jenny Beavan, premio Oscar per Camera con vista e Mad Max – Fury Road. La costumista britannica ha scelto regalità per caratterizzare il personaggio della Baronessa, con linea anni ’70 classiche e color oro e marrone, stravaganza e avanguardia per Cruella, mixando il bianco e nero d’obbligo, con moltissimo rosso colore della passione e della follia. L’ispirazione ovviamente viene dall’anticonformista delle passerelle per eccellenza, Vivienne Westwood, per creare abiti dal grande impatto drammatico. Gli abiti del film sono semplicemente spettacolari e capaci di far sognare: il vero ponte per entrare nel film è stato il glamour e la spettacolarizzazione degli abiti di scena. Curatissimo anche il make-up, di grande stile per la baronessa, eccentrico ed esagerato per Crudelia.

Crudelia: intrattenimento che passerà di moda
La pecca del film è la sceneggiatura: in 138 minuti vengono condensate una miriade di linee narrative. Dal delizioso prologo iniziale, all’ambizione di Crudelia nel voler diventare una stilista, alla fragilità della protagonista per aver perso la madre da piccola, al riscatto in stile caper movie. La colonna sonora è una vera e propria bomba, in fondo il teatro della Londra Anni ’70 facilita l’ambientazione musicale. La musica sfruttata è gigiona allo stesso tempo, perché molti capolavori della musica del periodo (Five to one di The Doors, Feeling Good di Nina Simone, Stone Cold Crazy dei Queen, The Wizard dei Black Sabbath solo per citarne alcuni) vengono piazzati qua e là per pochissimi secondi senza che caratterizzino alcun momento in particolare.
Nel complesso Crudelia poteva essere un buon rilancio di fiaba moderna, un film rosa dall’anima punk, peccato perda forza lungo la narrazione. Less is more è un modo di dire che non passa mai di moda, forse la Disney avrebbe dovuto ripetersi questo come un mantra.
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